La RIAA dice che i musicisti sono rovinati senza la RIAA
In un articolo nel suo blog, la RIAA cerca di convincere i musicisti e gli addetti del settore che metodi alternativi di business non possono assolutamente funzionare. Già il titolo è tutto un programma “ I tour possono essere sufficienti?”
E’ ovvio in questo caso, che le serate promozionali non possono sostituire le entrate del settore della registrazione ma se i tour si combinano con altri modelli di business, certamente il tutto potrebbe funzionare molto bene.
Nel blog poi, è scritto che molti osservano che gli sforzi della RIAA nel combattere i download illegali, sono legati alla volontà di voler mantenere un vecchio modello di business, piuttosto che a metodi per affrontare forme di concorrenza sleale, basati su atti illegali.
La RIAA si basa ancora sulla vendita di supporti fisici e non vuole innovare o creare od incoraggiare nuova musica o nuovi metodi per gli utenti di poterla acquisire, dare tutte le colpe alla pirateria e passare per vittima è un alibi perfetto.
Nel blog c’è scritto inoltre, che alcuni suggeriscono metodi alternativi per ricavare guadagni con la musica, tipo i tour, la vendita di gadget e magliette e la vendita di brani per gli spot pubblicitari.
Molti esperti di economia hanno dimostrato che in questo modo si può guadagnare e tanto, e lo hanno provato anche artisti famosi, come i Radiohead che hanno condiviso la loro musica su internet. Perché poi la RIAA non prova?
Nell’articolo si continua ancora dicendo, che solo gli artisti affermati possono guadagnare dall’anarchia di internet, che funziona come strumento di marketing.
Fino a poco tempo fa la RIAA aveva detto esattamente il contrario, ossia che solo agli artisti sconosciuti conveniva usare internet per farsi pubblicità, non certo ai cantanti famosi che essa rappresentava.
Ora si vede che ha cambiato idea, vedendo il numero crescente di artisti che si affida alla rete per farsi conoscere. Ad esempio Corey Smith, Motoboy, Matthew Ebel, non erano certo famosi quando hanno usato internet per diffondere la loro musica.
Inoltre i nuovi sistemi hanno fatto fare più soldi, sia a chi era già conosciuto, sia a chi doveva farsi conoscere e molti di più, di quanto avrebbero guadagnato usando metodi tradizionali.
L’articolo continua poi riprendendo il discorso dei tour, dicendo che le etichette non organizzeranno e finanzieranno più tour per gli artisti e che senza il riconoscimento del marchio o del nome, le vendite di merci sono commercialmente irrilevanti.
Le etichette quindi non forniranno più tour di supporto, perché nel passato ci hanno rimesso ma invece di essere più oculati, anche qui rinunciano ad un modello di business che può essere molto redditizio.
Inoltre gli artisti possono anche organizzare i loro tour senza etichette e ci sono anche siti come SonicBids, Songkick e molti altri che offrono tutti gli strumenti necessari.
Per quanto riguarda invece il discorso che senza il “riconoscimento del marchio o il nome” diventa impossibile vendere la merce, ciò è vero, ma non necessariamente tale marchio deve essere fornito da una grande etichetta RIAA ed i musicisti stanno creando marchi indipendenti.
L’ultima cosa che colpisce, scritta nel blog, è la domanda falsamente retorica che si pone la RIAA, ossia la vendita delle licenze musicali verrà, alla fine, sostituita da vendite di altri prodotti socialmente più utili della musica stessa?
Ma anche qui bisogna pensare che, ad esempio, la macchina ha sostituito il cavallo e che si va avanti non indietro e non bisogna restare legati a modelli di business obsoleti e che le entrate che derivano dalla vendita di altri prodotti, sono socialmente più utili della vendita diretta della musica, perché più efficienti. Queste vendite permettono, infatti, di creare promozione e distribuzione della musica a prezzi più bassi, il che significa che, alla fine portano più musica nel mondo e creano nuovi modelli di business diversificati e più posti di lavoro.