The Economist contro Berlusconi: la stampa estera che critica l’Italia


Economist: "Il vero scandalo? Berlusconi che nega la crisi"

Contrariamente a quanto succede in Italia, la stampa estera critica in modo diretto e severo l’operato del Premier Silvio Berlusconi: storiche, in questo frangente, le critiche mosse prima del recente G8 a L’Aquila da parte della testata inglese The Economist, che ha suo tempo ha reputato scandaloso l’approccio dei nostri reggenti alla crisi economica, peraltro meno risentita da noi proprio per il sistema bancario italiano, più isolato di quelli esteri.

The economist – Berlusconi

Articoli più recenti vedono l’Italia con maggior pessimismo: la dolce vita sembra più lontana, tornano, come spettri, in questi giorni, articoli sulla la condanna di David Mills e la tangente per corruzione che implica anche il Premier.

La censura in Italia

Una sentenza storica, tutta italiana, condanna la dirigenza di Google per la messa online, da parte di alcuni teppistelli, di un filmato contro un ragazzo down: neanche in Cina si era arrivati a tanto. In futuro, potrebbero censurare anche Facebook e il 70% di tutto il Web, costituito da servizi di sharing e condivisione online.

Il gossip su Berlusconi ha coinvolto anche la stampa estera: notevole rilievo viene dato (con inevitabile collegamento ai casi del divorzio di Berlusconi con Veronica Lario ed i casi di Noemi –D’Addario) all’ingresso in politica della showgirl Nicole Minetti, e ad una inattesa dichiarazione fuori luogo di Berlusconi sull’immgirazione: è bene condannare del traffico di immigrati clandestini dall’Albania “a parte le belle ragazze”.

La campagna elettorale: le elezioni regionali

Berlusconi, in vista delle elezioni regionali, sembra intenzionato a smorzare i toni contro la magistratura, criticata aspramente in passato. L’uso e la pubblicazione delle intercettazioni sono comunque “un attacco alla libertà”, “secchiate di fango che non mostrano reati emersi con certezza”. E siamo solo all’inizio della campagna, il cui pericolo più grande rimangono l’astensionismo e l’apatia, simboli dell’impossibilità dell’elettore di trovare rappresentanti tra le maglie dei partiti in un sistema oramai logoro ed inefficace.